Visualizzazioni totali

sabato 23 maggio 2009

Chardonnay les Cretes !


Ragazzi,che chardonnay,una esplosione olfattiva,di frutta mela golden,pera william,arancia,pesca,albicocca,banana,ananas,mango ma anche fieno e legno e vaniglia .In bocca grande corrispondenza dei sapori con il naso,complesso e pronto fresco e sapido!
Vino da provare in grandi occasioni!

lunedì 26 gennaio 2009

Opinioni che condivido!

Carte dei vini: non c’è una via di mezzo?
Ricordate, non sono poi così lontane nel tempo, le carte dei vini “enciclopedia” d’antan? Più che strumenti d’uso, atte a facilitare la scelta da parte del cliente, del giusto tipo di vino da abbinare, secondo scelta personale o secondo consiglio del sommelier, qualora attivo nel ristorante in oggetto, ai piatti, negli anni Ottanta e anni Novanta, gli anni di una certa “ristorazione spettacolo”, le carte dei vini si erano trasformate in status symbol o in specchietti per allodole. Status symbol perché mostrando una carta dei vini fornitissima, enciclopedica, multipagina, (poco importa che di certi vini in cantina poi in realtà ce ne fosse una sola bottiglia, oppure al massimo tre…) che mostrasse di seguire le indicazioni delle più influenti guide dei vini o compiacesse le predilezioni del potente critico gastronomico, il ristorante aveva buone probabilità, secondo una tacita sinergia, di ottenere alti punteggi da parte delle guide dei ristoranti. In questa scelta, che portava i ristoratori a svenarsi, a riempirsi le cantine di vini che chissà quando avrebbero venduto, a seguire una corrente di pensiero diffusa secondo la quale un ristorante importante e ambizioso non poteva non avere i vini delle mediatiche aziende X, Y, Z, W ecc. poco importa che finissero con l’ordinare casse di Barbaresco, di Barolo, di Brunello di Montalcino, del Super Tuscan in auge, dell’”innovativo” Merlot irpino, anche ristoranti specializzati nella cucina di pesce. O che sfilate di Sassicaia e di costosi Sauternes finissero con il trascorrere anni, in fiduciosa attesa di qualcuno che le ordinasse, in ristoranti dove per mangiare si spendeva la metà del prezzo al quale il ristoratore le aveva messe in carta, con un effetto finale sgradevolissimo e autolesionista che finiva con il fare apparire carissimo quel locale dove invece la semplice voce cibo era più che corretta… Anni “memorabili” quelli, dove anche grazie a queste mega carte che facevano apparire i ristoratori degli aspiranti master of wine, magari arrivavano le stelle, i riconoscimenti, gli alti punteggi e le premiazioni, ma non sempre si metteva a proprio agio, come sarebbe stato naturale e ovvio la clientela, quella meno acculturata e bisognosa di mostrarsi à la page davanti agli amici ordinando il “tre bicchieri” must o l’ultimo innamoramento di Parker o di Wine Spectator, che di fronte a dei “papirozzi” più simili alla Treccani che ad un agile e razionale elenco di prodotti con la chiara indicazione del prezzo finivano con il perdere la trebisonda.Poi, inevitabile, e non solo dovuta a congiunture economiche, all’arrivo di quell’euro che ha sostanzialmente dimezzato il nostro potere d’acquisto e raddoppiato i prezzi, e ad una certa nausea del “Pantalone” consumatore, stanco di pagare e fare da cavia per sperimentazioni enoiche e di seguire consigli che in molti casi si rivelavano, come dicono a Roma, delle “sole”, è arrivata la crisi e quelle carte, che un tempo erano motivo di orgoglio e ostentazione, quasi dei costosi gadget (come l’orologio firmato, l’abito griffato, la fuoriserie parcheggiata fuori dal locale) dei ristoratori e specchietti per allodole e certificati di garanzia per catturare consensi giornalistici, sono diventate dei pesantissimi ingombri. Delle vere e proprie testimonianze, con le decine di vini fuori annata e dai millesimi non esaltanti rimasti “sul gobbo”, talvolta proposti a prezzi di realizzo, sperando che qualcuno si decida a stapparli, di una “filosofia” legata al passato. Veri e propri “cimiteri degli elefanti”, dove molti vini letteralmente dimenticati vanno a morire e che suscitano canine malinconie e inducono ad amare considerazioni quando li si visita. La diffusa tendenza di oggi, salvo eccezioni rappresentate da ristoratori che i vini li sanno scegliere, con personalità, criterio, razionalità, che fanno investimenti mirati e puntano ad offrire al cliente una scelta meditata, ristoratori che non si limitano a vendere vino, ma fanno cultura del vino e aiutano a conoscerne le infinite sfumature, è ridurre al massimo la dotazione di cantina, limitare drasticamente l’offerta e magari puntare, nel nome di quel rapporto qualità-prezzo che ognuno interpreta come vuole, su quei vini che si possono pagare poco e sui quali si può, anche applicando ricarichi contenuti, guadagnare di più. Il risultato, in tanti casi, troppi, sono carte dei vini super essenziali, smilze, inespressive (dove magari non manca mai, finché dura il loro successo, qualche Nero d’Avola), carte figlie della prudenza e della paura, di una dichiarata volontà del ristoratore di non rischiare, di non impegnarsi più di tanto nel cercare quelle aziende poco note che meritano fiducia. Carte dei vini dove le referenze sono limitate ai soli vini “che vanno”, e cantine dove si preferisce limitare il numero di bottiglie presenti, contando sul rifornimento rapido, in caso di necessità, assicurato dal distributore locale o dal grossista. Carte dove la scelta avviene talvolta non in base ad un personale concetto di qualità del ristoratore, ma in base alla più lunga dilazione nei tempi di pagamento assicurata dalle aziende… Possibile, mi dico, che dall’offerta ipertrofica, esagerata, e un po’ confusa di un tempo, si debba passare oggi ad un’offerta risicata che lascia poca libertà di scelta al cliente? Va bene dire addio alle mega carte enciclopedia di ieri, ma se l’alternativa, senza sfumature e vie di mezzo, dal troppo di ieri al poco di oggi, sono le minicarte tristi e furbette, allora scusatemi tanto se mi ripeto, ma non posso che dire che “io non ci sto”!Franco Ziliani